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Giorni

Giorni - Francesca Bruno

Da un giorno all’altro, ho deciso. E ho aperto la locanda.
Nulla di pretenzioso. Nulla di aggiunto o costruito più di quello che già non ci fosse.
Giusto qualche sedia in più, una coperta nell’armadio, un lume sul tavolino da fumo, in un angolo del terrazzo.

Non ho avvisato, né fatto pubblicità.
Ho lasciato la porta aperta, e gli ospiti hanno iniziato ad arrivare.

Il primo ad entrare è stato uno curvo e un po’ grigio, di un’età indefinibile ma polverosa. Gli ho assegnato la stanza al piano di sopra ma lui non si è mai mosso dal soggiorno comune.

È seguita, tutta trilli e tacchi, la seconda. Rotolata alla svelta nella stanza in fondo al corridoio con una scia di profumo da stordire.

Si susseguono da allora in ordine sparso: il capodanno del 1870 e un giorno qualsiasi del marzo del 2023. Alcuni li riconosco subito, famosi per nome o risonanti di cose grandi, altri passano senza nemmeno lasciare il segno, solo passano.

All’inizio li guardavo e basta, poi ho iniziato a chiedere.

Quello che si era catapultato dentro e aveva distrutto il patio era il 2 agosto 1980. Sapeva di bruciato e grida. Portava ancora, nella pancia, le rotaie di Bologna.

A un certo punto ho domandato a quello parcheggiato in soggiorno.
“Martedì pomeriggio del 1813”, mi ha detto con una voce piatta. Si era lasciato trascorrere in un’immobile Rive Gauche.

Ah la signora con i tacchi. Ci si sarebbe aspettati un equinozio d’estate. Ma no. È sabato a Castelnuovo Bozzente e l’Elvira si è fatta carica di profumo per l’Alfio, che la deve venire a prendere con la macchina nuova. Se l’Alfio è arrivato non lo so, forse di domenica, ma quella non è venuta.

Li ho fatti sfilare. Restare, andare.
Non ho mai chiuso la porta. E il patio l’ho lasciato così, distrutto. Per capire. Ma nemmeno. Per sentire.
Ho tolto una direzione al tempo e quello si è aggrovigliato, e sciolto. Ed è tutto lì insieme, rotto solo in piccoli momenti, che per convenzione chiameremo giorni.

Spiace perfino dar loro questo limite, che è pur sempre una gabbia.
Ma casa mia è piccola, e tutto intero, il tempo, non ci sta.
Per questo sono benvenuti i frammenti. Persi, scomposti e di passaggio.

Entrate. Restate o andatevene. La porta è aperta.

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