racconti

L’avanti e l’indietro

Anche la luce guardava di là, e sembrava chiamarti da oltre l’arco, come una freccia luminosa piazzata per indicare il tesoro.
Dritto il passo. Non me lo ricordo mai di quanto facile e difficile stiano sempre schiena a schiena.
Una riga di ombra che mi taglia la faccia, di traverso, dalla fronte al mento, e un vecchietto curvo, appollaiato sul suo bastone, che mi parla come lanciasse briciole ai piccioni.

“Da che parte va, signorina?”
I due passi dopo van via meccanici, ma poi il mio cervello (complimenti ai riflessi) li ferma.
Sarà il “signorina” che gli ha fatto strano. Ma ogni cervello ha la sua prospettiva, anche se temporanea.

“Dove vado io?”
“No, il cavallo”.
‘Sta volta il mio cervello non solo è lento, è proprio impallato. Ma i piedi sono davanti al vecchietto, come tutta la mia attenzione.

Anche un po’ in fretta, perché aveva proprio voglia di dirmelo, solleva il bastone e indica un cavallo disegnato sul soffitto ad arco della porta cittadina.

“Va di là o va di qua?”
A parte che è già da capire perché dovrei saperlo io. Che evidentemente lui lo sa già.
Ma gli piace che io mi faccia una domanda. La SUA domanda.

“Va di là”.
E giuro che mi ci impegno. Cioè non la butto lì. Guardo proprio il cavallo, con le zampe in avanti e il sedere dalla mia parte e mi pare che vada dove vado io. Indico il fuori.

Lui ha un mezzo sorriso di compiacimento sulla bocca molliccia che mi fa pensare “bon, non è finita.”
Zitto si sposta dall’altra parte della porta e punta il bastone a terra.
Assomiglia poco a un insegnante di danza ma la mia posizione, in automatico, cambia.

“Adesso va di là”.
Tutto soddisfatto, indicando il dentro.

Guardo di là e guardo di qua.
E poi guardo lui, che per un attimo di noia dopo il caffè si è venduto il mio avanti e l’indietro.
Glieli lascio lì, sotto il ponte in ombra.

“Grazie”.
“Di niente”.

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