Non aprila mai, quella finestra.
E lei dietro agli infissi marroni, laccati lucidi anni 80.
Tanta plastica e poco legno.
Mi piacerebbe. Era iniziato così.
Mi piacerebbe è un solletico leggero di zampe, poggiate sulla superficie del cervello.
Come ci è entrato, lì? Uno scarafaggio piccolo piccolo, e marrone come gli infissi.
Niente del verde lucido dei coleotteri.
Anonimo e mediocre. Leggero e quasi invisibile.
I fili pelosi delle sue zampe sono una carezza.
Mi piacerebbe. Sì.
Un po’ delle sue mani calde in questo freddo noioso.
Lo scarafaggio gira in cerchio. Giri sempre più ampi. Sempre tondi.
E torna, torna lì.
Le sue zampe pelose prudono, a ripassare dal via ogni volta.
Io vorrei. Sì. Mi sorride.
Mi ha sollevato davvero?
Lo scarafaggio striscia le zampe e muove le ali. Sono solchi quelli che scava.
Le zampe tagliano. Dio, che male.
Io voglio!
Guarda qui, ora. Non toccarla. Guarda qui.
La blatta, gigante, preme nella calotta cranica e succhia un siero bianco dal cervello.
Pressione, dolore. Zampe come tronchi che sfondano gli occhi.
La odio! Ti voglio! Fa male!
La finestra trema. La testa si squarcia.
Ridono! Maledetti! Salvami!
La blatta divora. Schiuma intorno alla bocca.
Loro sempre più nudi.
Non rimane niente.
La blatta è enorme. Si allontana strisciando. Il ventre pieno.
A chi ha scambiato il bisogno per desiderio, ed è diventato niente sotto i suoi denti.