Ci mise dentro la testa e una colomba, forse un piccione, se ne volò fuori infastidito, in una striscia di aria leggera e piume ancora di più.
Girò lo sguardo intorno e fu invaso da colonne di mattoni rossi, e triangoli di polvere disegnata nella luce, sospesa nell’aria tra il tetto di travi e tegole, rosse pure loro.
Era bello perché era bello. Ma anche perché sapeva di tempo passato, di vite raccolte e lasciate lì, a riposare come il pane mentre lievita e si dimentica del mondo.
Era bello perché era nascosto e segreto. E pronto ad aprirsi a un tocco misurato e opportuno, come le gambe di una donna.
Tornò indietro scendendo di un gradino sulla scala barcollante e si tirò dietro la botola.
Altra polvere e altre piume. Piccioni, niente.
Per il momento quello era un posto da sognarci dentro. Da riempire di cose sentite, o forse solo inventate. Non fa molta differenza. Forse, un giorno, ci avrebbe messo anche cose vere; adesso le sembrava di violentarlo ad aggiungerci suoni e sfacciata realtà.
Stai li, che sei bello. Come un pensiero. Come una cosa che è perfetta perché non è mai accaduta.