racconti

Muri e quadri

Non ce lo appendo, il quadro, al muro. Non oggi.

Ogni tanto gli amici chiedevano, a volte insistevano.
“Te lo attacco io. Cosa ci vuole. Un chiodo”.
Ma quel chiodo lì era davvero di troppo.

Da quando era entrata in quella casa un sacco di cose avevano preso posto intorno, qualcuna si spostava ancora da un angolo all’altro.

“Cerco il tuo lato migliore”.
Rispondeva alla credenza che la guardava spazientita.
Persino il frigorifero aveva viaggiato come un masso errante, e poi si era incastrato alla perfezione nella sua nicchia.
“Da qui non ti tiro fuori più”.
La promessa era sincera. Forse sarebbe durata una stagione.

Ma quel quadro lì. Quella parete lì. Erano fatti per rimanere una possibilità.
Tu pensa che bello, non essere ancora appeso. Potresti essere destinato a ovunque. O magari a niente.

Il torero, dalla locandina anni ’20, pensava al freddo e all’umido del mercatino romano da cui lei l’aveva raccolto. E, saggiamente, taceva.

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