racconti

13.321

Spiga, l’aveva chiamata.

Con tanto di risate di tutto il bar del porto, che quasi il Duccio non s’era ribaltato sul tavolo a tre gambe e mezzo.

“Lo vedrete, voi, il mio grano come sarà alto. E voi a spremere il sangue dalle sardine”.

Era l’unico pescatore a sognare la terra.
“Perché il mare ti porta via”. E lui invece voleva restare, soprattutto da quando dietro le finestre c’era lei, con la sua treccia e un sorriso carico di attesa.

“Sistemiamo il tetto e poi la vendo, la Spiga. Così ce le piantiamo davvero”.
Lei annuiva e lo guardava come se lì, dentro a quella bocca, ci fosse un tesoro.

Solo che erano passati 37 anni.

13.319 candele accese ogni sera e consumate ogni notte.
Dovevano essere un po’ di più ma un inverno la febbre l’aveva costretta a letto una settimana e lei davvero non aveva pensato ad altro.

13.320.
La guardava nascere sullo stoppino, la fiamma e poi sedeva per un po’ dietro ai vetri sottili, che sibilavano col vento della scogliera.

Non era rimasto più molto di lei, ma la treccia si, perché diceva: “così, quando torna, mi riconosce”.
Alla bottega avevano provato a dirle, lascia stare.
Che le tre lire della candela sarebbero state più comode nella sua pancia.

Desiderare è un modo intenso di vivere.
13.321.

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